IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA 
                            Sezione prima 
 
    Ha pronunciato  la  presente  Ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 2219 del 2021, proposto da R. T.,  rappresentata  e
difesa dall'avvocato Silvia Pini, con domicilio digitale come da  PEC
da Registri di Giustizia; 
 
                               Contro 
 
    ATS - C. m di M., in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentata e difesa dall'avvocato Simona Falconieri, con domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    ASST - F. -S., in persona del legale  rappresentante  in  carica,
rappresentata e difesa dall'avvocato Annalisa Avolio,  con  domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
 
                         per l'annullamento 
 
    Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 
      dell'atto  di   accertamento   dell'inosservanza   dell'obbligo
vaccinale prot. n. .... del ...., adottato dell'ATS - Citta' m di M.,
ai sensi dell'art. 4, comma 6, del decreto-legge l° aprile  2021,  n.
44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021,  n.  76,
comunicato in data 23 settembre  2021,  con  conseguente  sospensione
della ricorrente dal diritto di svolgere prestazioni o  mansioni  che
implicano contatti interpersonali o comportano, in  qualsiasi  forma,
il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2; 
      della nota prot. n. .... del ...., con la quale la ASST - F.  -
S. ha sospeso la dipendente dal servizio; 
      di ogni altro  atto  presupposto,  consequenziale  e  connesso,
anche non conosciuto; 
      per quanto riguarda l'istanza cautelare notificata in  data  28
marzo 2022, depositata in data 29 marzo 2022: 
      della missiva prot. .... del ..... , ritirata  in  data  .....,
con cui la ASST .... ha comunicato  alla  ricorrente,  ai  sensi  del
novellato art. 4 del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44,  convertito
con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n.  76,  ad  opera  del
decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172,  convertito  nella  legge  21
gennaio 2022,  n.  3,  l'immediata  sospensione  dal  servizio  senza
retribuzione ed altri compensi od emolumenti, comunque denominati. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'ATS - C. m di  M.
e dell'ASST - F. - S; 
    Vista  l'istanza  cautelare  notificata  il  28  marzo   2022   e
depositata il 29 marzo 2022; 
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 21° aprile 2022  la
dott.ssa Rosanna Perilli e uditi  per  le  parti  i  difensori,  come
specificato nel verbale; 
    1. Dall'..... la  ricorrente  svolge  l'attivita'  lavorativa  di
operatrice socio-sanitaria alle dipendenze dell'ASST - F. -S.  (d'ora
in avanti solo l'ASST), con contratto di  lavoro  a  tempo  pieno  ed
indeterminato, per la quale percepisce lo stipendio tabellare base di
(documento n. 4 dell'indice di parte ricorrente). 
    Con atto del ...., comunicato in data ...., l'ATS - C.  m  di  M.
(d'ora in avanti solo l'ATS) ha accertato che la  ricorrente  non  ha
ottemperato  all'obbligo  vaccinale   imposto   agli   esercenti   le
professioni  sanitarie  ed  agli  operatori  di  interesse  sanitario
dall'art. 4, comma 1,  del  decreto-legge  1°  aprile  2021,  n.  44,
convertito nella legge 28 maggio  2021,  n.  76,  nella  formulazione
vigente ratione temporis. 
    In data .... l'ASST ha comunicato alla ricorrente «la sospensione
dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti
interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio  di
diffusione del contagio da SARS-CoV-2», ai sensi dell'art.  4,  comma
6, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito nella legge 28
maggio 2021, n. 76, nella formulazione vigente ratione temporis. 
    1.1. Con il  ricorso  introduttivo  la  ricorrente  ha  domandato
l'annullamento  sia  dell'atto  con  il  quale  l'ATS  ha   accertato
l'inosservanza dell'obbligo vaccinale che della comunicazione con  la
quale l'ASST l'ha sospesa dall'attivita' lavorativa, per  i  seguenti
motivi: 
      a) per violazione del procedimento di cui all'art. 4, commi 5 e
6, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito nella legge 28
maggio 2021, n. 76, nella formulazione vigente ratione temporis,  per
mancata comunicazione  degli  inviti  a  produrre  la  documentazione
comprovante l'omissione o il differimento della vaccinazione, la  cui
ricezione le avrebbe consentito di  ottenere  il  differimento  della
vaccinazione  e  di  evitare  tutti  i  pregiudizi  conseguenti  alla
immediata sospensione  dall'attivita'  lavorativa  (primo  motivo  di
ricorso); 
      b) per contrasto dell'obbligo  vaccinale  di  cui  all'art.  4,
comma 1, del decreto-legge 1° aprile 2021, n.  44,  convertito  nella
legge 28 maggio 2021, n. 76, con gli articoli 3, 13, 32  e  36  della
Costituzione e con i principi di uguaglianza e ragionevolezza. 
    In particolare, la ricorrente ha censurato le carenze informative
sull'efficacia  dei  vaccini  nella  prevenzione  del   contagio   da
SARS-CoV-2, sulla durata dell'immunizzazione e sugli effetti  avversi
conseguenti   alla   loro    somministrazione    nonche'    l'assenza
dell'istituzione di una funzione di farmacovigilanza attiva  (secondo
motivo di ricorso); 
      c) per violazione del divieto di discriminazione sui luoghi  di
lavoro - di cui agli articoli 21 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, 14 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  3  e  36  della
Costituzione  -   dei   lavoratori   del   settore   sanitario   che,
nell'esercizio della liberta' di autodeterminazione nella scelta  dei
trattamenti  sanitari,  abbiano  ritenuto  di  non  sottoporsi   alla
vaccinazione obbligatoria (terzo motivo di ricorso); 
      d) per violazione degli articoli 3 e 5 della legge 22  dicembre
2017, n. 219, i quali sanciscono rispettivamente il diritto di essere
informati in modo completo, aggiornato e comprensibile dei benefici e
dei rischi conseguenti ai  trattamenti  sanitari  ed  il  diritto  di
rifiutarli (quarto motivo di ricorso); 
      e) per  la  contrarieta'  dell'imposizione  di  un  trattamento
sperimentale, del quale non sono noti ne' l'efficacia ne' gli effetti
avversi, con gli articoli 2 e 4 del regolamento n.  507/2006/CE,  con
gli articoli  3,  35  e  38  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, con i principi etici per  la  ricerca  biomedica
che  coinvolge  esseri  umani,  contenuti  nella   Dichiarazione   di
Helsinki, con i principi di precauzione e di proporzionalita'  e  con
l'art. 32 della Costituzione (quinto motivo di ricorso). 
    1.2. Hanno resistito al ricorso l'ASST F. -S. e l'ATS della  C. m
di M. ed hanno preliminarmente eccepito il difetto  di  giurisdizione
del giudice amministrativo,  in  quanto  la  controversia  avente  ad
oggetto  l'annullamento  del   provvedimento   di   sospensione   del
dipendente di un ente sanitario dall'attivita' lavorativa attiene  al
rapporto  di  lavoro  contrattualizzato  ed  e'  devoluta,  ai  sensi
dell'art. 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
alla giurisdizione del giudice ordinario. 
    L'ATS della C. m di M. ha altresi' eccepito che: 
      a) in base al criterio del  petitum  sostanziale,  la  presente
controversia, la quale  involge  la  tutela  di  «diritti  soggettivi
assoluti e  di  rango  primario»,  come  il  diritto  «a  non  essere
discriminato» sul lavoro e il diritto «a non essere sottoposto ad  un
determinato trattamento sanitario», e'  devoluta  alla  giurisdizione
del giudice ordinario; 
      b) la norma attribuisce all'azienda sanitaria locale un  potere
affatto vincolato che non  e'  idoneo  «a  far  degradare  i  diritti
soggettivi,  dei  quali  si  lamenta  la  violazione,  ad   interessi
legittimi, con conseguente attribuzione della presente  controversia,
secondo l'ordinario  criterio  di  riparto,  alla  giurisdizione  del
giudice ordinario. 
    1.3. Con decreto cautelare  n.  1403  del  17  dicembre  2021  il
Presidente del Tribunale, ravvisata  la  possibile  fondatezza  della
violazione procedimentale eccepita con il primo motivo di ricorso, ha
sospeso l'efficacia degli atti impugnati, ai fini  del  reintegro  in
servizio della ricorrente e della sua destinazione  allo  svolgimento
di prestazioni o mansioni che non implicano contatti interpersonali e
non comportano il rischio di diffusione del contagio. 
    1.4. Con ordinanza n. 127 del 28 gennaio  2022  il  Tribunale  ha
respinto la  domanda  cautelare  della  ricorrente  per  carenza  dei
requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, in quanto  la
stessa, pur avendo nelle more ricevuto dall'ATS  i  relativi  inviti,
non ha prodotto la documentazione necessaria ad ottenere  l'esenzione
dalla vaccinazione o il suo differimento ne' ha  provato  di  essersi
vaccinata. 
    1.5. Nelle more, l'art. 4 del decreto-legge 1°  aprile  2021,  n.
44, convertito nella legge 28 maggio 2021, n. 76, e' stato modificato
ad opera del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, convertito nella
legge 21 gennaio 2022, n. 3, per cui l'ASST F. -S., con nota prot. n.
...., comunicata in data ...., ha  disposto  l'immediata  sospensione
della ricorrente dal servizio senza corresponsione della retribuzione
e di altri compensi od emolumenti, comunque denominati. 
    1.6.  Con  istanza  notificata  in  data  28   marzo   2022,   da
qualificarsi come atto per motivi aggiunti, la ricorrente ha invocato
la concessione di  idonee  misure  cautelari  per  evitare  il  grave
pregiudizio e il danno  irreparabile  alla  soddisfazione  delle  sue
essenziali esigenze di vita, derivante dalla sospensione dal servizio
con integrale privazione del trattamento retributivo, anche in  forma
di riconoscimento di un assegno di natura assistenziale. 
    La ricorrente ha  pertanto  chiesto  al  Tribunale  di  sollevare
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4,  comma  5,  del
decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito nella legge 28 maggio
2021, n. 76, come riformulato dal decreto-legge 26 novembre 2021,  n.
172, convertito nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, nella parte in cui
non contempla l'attribuzione di un assegno alimentare  al  dipendente
sospeso dal servizio, per l'intera durata del periodo di sospensione,
per  violazione  degli  articoli  3  e  32,  comma   secondo,   della
Costituzione. 
    In particolare, la ricorrente  ha  contestato  la  disparita'  di
trattamento  dei  dipendenti  del  comparto  sanitario,  sospesi  dal
servizio  per  inadempimento  dell'obbligo  vaccinale,  rispetto   ai
dipendenti  del  medesimo  comparto  sospesi   cautelativamente   dal
servizio in pendenza di un procedimento  disciplinare  o  penale,  ai
quali vengono invece corrisposte delle indennita' e degli emolumenti,
ed anche rispetto agli altri dipendenti pubblici e privati, ai  quali
viene comunque  corrisposto,  sempre  nelle  ipotesi  di  sospensione
cautelare dal servizio, un assegno di natura assistenziale. 
    1.7. Con memoria depositata il 15 aprile 2022, l'ASST F. -S.,  ha
invocato la declaratoria di inammissibilita'  dell'istanza  cautelare
notificata in data 28 marzo  2022,  per  mancata  impugnazione  della
deliberazione n. .... del ...., con la quale il Direttore generale ha
disposto  la  sospensione  della  ricorrente  dal  servizio  e  dalla
retribuzione. 
    1.8. Alla camera di consiglio del 21 aprile 2022, fissata per  la
trattazione della domanda cautelare, la causa  e'  stata  discussa  e
trattenuta in decisione e la domanda cautelare e'  stata  decisa  con
separata ordinanza. 
    2. L'art. 4 del decreto-legge 1° aprile 2021, n.  44,  convertito
con modificazioni nella legge 28 maggio 2021 n.  76,  ha  introdotto,
per gli  esercenti  le  professioni  sanitarie  e  gli  operatori  di
interesse   sanitario,   l'obbligo   temporaneo   di   sottoporsi   a
vaccinazione  gratuita   per   la   prevenzione   dell'infezione   da
SARS-CoV-2, salvo le  eccezioni  dell'omissione  o  del  differimento
della vaccinazione, in caso  di  accertato  pericolo  per  la  salute
(commi 1 e 2). 
    La disposizione, nel testo vigente sino al 26 novembre 2021: 
      a) ha previsto, quale  conseguenza  dell'atto  di  accertamento
adottato dall'azienda sanitaria locale, «la sospensione  dal  diritto
di  svolgere  prestazioni   o   mansioni   che   implicano   contatti
interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio
di diffusione del contagio da Sars-CoV-2» (comma 7); 
      b) ha imposto al datore di lavoro di ricollocare il  lavoratore
che, a causa di  gravi  fischi  per  la  propria  salute,  sia  stato
definitivamente o temporaneamente esonerato dall'obbligo vaccinale in
mansioni, anche diverse da quelle esercitate e prive di rischi per la
diffusione del contagio, senza decurtazione della retribuzione (comma
10); 
      c) ha imposto al datore di lavoro - a condizione che  cio'  sia
possibile - di ricollocare il  lavoratore  inosservante  dell'obbligo
vaccinale in mansioni diverse ed eventualmente inferiori  rispetto  a
quelle esercitate, purche' non implicanti rischi  di  diffusione  del
contagio, con conservazione integrale del corrispondente  trattamento
economico (comma 8); 
      d) ha previsto, solo in caso di impossibilita' di assegnare  il
lavoratore inosservante dell'obbligo vaccinale  allo  svolgimento  di
mansioni diverse, la  non  debenza  della  retribuzione  e  di  altri
compensi od emolumenti, comunque denominati, per tutto il periodo  di
sospensione (comma 8) e comunque sino al 31 dicembre 2021. 
    2.1. L'art. 4 e' stato radicalmente modificato dall'art. 1, comma
1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, convertito
con modificazioni nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, il quale: 
      a) ha qualificato la  natura  dell'atto  di  accertamento  come
«dichiarativa» e «non disciplinare» e ne ha attribuito la  competenza
agli ordini professionali (comma 4); 
      b) ha espunto dal testo legislativo,  per  quanto  riguarda  la
sospensione   dall'esercizio   della   professione   sanitaria,    il
riferimento  al  divieto  di  svolgere  solo  quelle  «prestazioni  o
mansioni che implicano contatti interpersonali o che  comportano,  in
qualsiasi altra forma, il  rischio  di  diffusione  del  contagio  da
SAR-CoV-2»; 
      c) ha espunto dal testo legislativo il dovere condizionato  del
datore  di  lavoro  di   ricollocare   il   lavoratore   inosservante
dell'obbligo vaccinale, nei limiti delle  effettive  possibilita'  di
riallocazione offerte dall'organizzazione del servizio,  in  mansioni
diverse ed eventualmente  inferiori  rispetto  a  quelle  esercitate,
purche'  non  implicanti  rischi  di  diffusione  del  contagio,  con
conservazione integrale del corrispondente trattamento economico; 
      d) ha esteso sino al  15  giugno  2022  la  non  debenza  della
retribuzione e di altri compensi od emolumenti, comunque  denominati,
per tutto il periodo di sospensione, a tutti lavoratori  sospesi  dal
servizio per inadempimento dell'obbligo vaccinale (comma 5). 
    2.2.  L'art.  4  e'  stato  ulteriormente  modificato  ad   opera
dell'art. 8 del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, il quale: 
      a) ha prorogato sino al 31 dicembre  2022  l'obbligo  vaccinale
previsto per gli esercenti le professioni sanitarie e  gli  operatori
di interesse sanitario (comma 1); 
      b) ha introdotto la possibilita', per  il  dipendente  che  non
abbia   adempiuto   all'obbligo   vaccinale   e   che   sia   guarito
dall'infezione da SARS-CoV-2, di ottenere,  dietro  presentazione  di
specifica istanza e documentazione, la  cessazione  temporanea  della
sospensione  dal  servizio  sino  alla  scadenza   del   termine   di
differimento della vaccinazione. 
    2.3. Il Collegio dubita della legittimita'  costituzionale  della
modificazione apportata all'art. 4, comma  5,  del  decreto-legge  1°
aprile 2021, n. 44, convertito nella legge 28  maggio  2021,  n.  76,
dall'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021,
n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, nella parte  in
cui dispone che «Per il periodo di sospensione  dall'esercizio  della
professione sanitaria non  sono  dovuti  la  retribuzione  ne'  altro
compenso o emolumento, comunque denominato», per  contrasto  con  gli
articoli 2 e  3  della  Costituzione,  in  relazione  allo  specifico
profilo  della  mancata  previsione,  a  fronte   del   prolungamento
dell'obbligo vaccinale per il personale sanitario sino al 31 dicembre
2022, di adeguate misure di sostegno volte  a  soddisfare  i  bisogni
primari dell'individuo. 
    La privazione di ogni forma di sostentamento economico durante il
periodo di sospensione dal servizio  ha  determinato,  a  parere  del
Collegio, un ingiustificato peggioramento delle  condizioni  di  vita
dei  lavoratori  dipendenti,  sia  per  via  della  proroga  ex  lege
dell'obbligo   di   sottoporsi   a   vaccinazione,   sia   per    via
dell'abrogazione dell'obbligo condizionato del datare  di  lavoro  di
adibire il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale a
mansioni diverse, anche inferiori  e  comunque  prive  di  rischi  di
contagio, con attribuzione del relativo trattamento economico. 
    3.  Il  Collegio  ritiene  che  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma  5,  del  decreto-legge  1°  aprile
2021, n. 44, convertito nella legge 28 maggio 2021, n. 76,  per  come
modificato dall'art. 1, comma 1, lettera  b),  del  decreto-legge  26
novembre 2021, n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022, n.  3,
sia rilevante nel presente giudizio, in quanto dalla decisione  della
Corte costituzionale dipende l'esito dell'atto  per  motivi  aggiunti
depositato in data 29 marzo 2022,  con  il  quale  la  ricorrente  ha
censurato la  ragionevolezza  e  la  compatibilita'  con  i  principi
costituzionali   della   sospensione   dal   servizio   per   effetto
dell'accertamento dell'inadempimento  dell'obbligo  vaccinale,  senza
corresponsione di un assegno  alimentare  per  tutto  il  periodo  di
durata della sospensione. 
    3.1. Ai fini della  rilevanza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale, deve prioritariamente procedersi alla verifica  della
sussistenza  dei   presupposti   processuali   e   delle   condizioni
dell'azione proposta nel giudizio  a  quo  (Corte  costituzionale,  9
febbraio 2011, n. 41; 22 luglio 2010, n. 270). 
    3.2. Il Collegio ritiene sussistere  il  presupposto  processuale
della giurisdizione del giudice remittente. 
    L'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata  dall'ASST  F.
-S. e dall'ATS della C. m di M., e' destituita di fondamento. 
    3.3. Ai sensi dell'art. 63, comma 1, del decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165, tutte le controversie  relative  ai  rapporti  di
lavoro  alle  dipendenze  delle  pubbliche  amministrazioni  di   cui
all'art. 1, comma 2 - tra le quali sono ricomprese le aziende  e  gli
enti del servizio sanitario nazionale  -  sono  devolute  al  giudice
ordinario, in funzione di giudice del lavoro,  anche  ove  si  faccia
questione di atti amministrativi presupposti. 
    Il rapporto di lavoro subordinato che la ricorrente ha instaurato
alle dipendenze dall'Azienda F. -S. rientra certamente nel  perimetro
del rapporto  di  lavoro  contrattualizzato  e  tuttavia  il  petitum
sostanziale della presente controversia non  attiene  ne'  al  potere
direttivo ed organizzativo ne' al potere  disciplinare  del  soggetto
pubblico datore di lavoro. 
    La ricorrente non ha infatti  invocato  l'applicazione  analogica
delle norme che attribuiscono un assegno di natura  assistenziale  ai
dipendenti  del  comparto  sanitario  e,  in  generale,  a  tutti   i
dipendenti, pubblici e privati, che  siano  sospesi  cautelativamente
dal servizio in pendenza di un procedimento disciplinare o penale  ma
ha inteso contestare l'effetto automatico  conseguente  all'esercizio
del potere vincolato di accertamento dell'inadempimento  dell'obbligo
vaccinale,  previsto  dalla  norma   sospettata   di   illegittimita'
costituzionale,  che  e'  quello  di  privare  il  dipendente   della
retribuzione  e  di  ogni  altro  compenso  od  emolumento,  comunque
denominato, per tutto il periodo  di  durata  della  sospensione  dal
servizio. 
    3.4.  La  natura  dichiarativa,  espressamente  attribuita  dalla
disposizione all'atto di accertamento dell'inadempimento dell'obbligo
vaccinale, non e' idonea ad attribuire la  giurisdizione  al  giudice
ordinario neppure in base al criterio di riparto  previsto  dall'art.
103, comma primo, della Costituzione. 
    La ricorrente ha inteso contestare gli effetti  legali  dell'atto
di  accertamento  dell'inadempimento  dell'obbligo  vaccinale  e,  in
particolare, l'immediata sospensione dal servizio senza la previsione
di una retribuzione, ancorche' ridotta,  e  senza  l'attribuzione  di
adeguate  misure  di  sostegno  per  tutto  il  periodo  di   vigenza
dell'obbligo vaccinale. 
    L'art. 4, comma 4, del  decreto-legge  1°  aprile  2021,  n.  44,
convertito  nella  legge  28  maggio  2021,  n.  76,   e   successive
modificazioni  attribuisce  agli  Ordini  professionali   un   potere
vincolato  di  accertamento  del  mancato  adempimento   dell'obbligo
vaccinale,  a  fronte  del  quale,  secondo  l'impostazione  dell'ATS
C. m di M., si porrebbero i  diritti  soggettivi  alla  tutela  della
salute e del lavoro. 
    Ai  sensi  dell'art.  7,  comma  4,  del  codice   del   processo
amministrativo,  «Sono  attribuite  alla  giurisdizione  generale  di
legittimita' del giudice amministrativo le controversie  relative  ad
atti, provvedimenti  o  omissioni  delle  pubbliche  amministrazioni,
comprese quelle relative al risarcimento del  danno  per  lesione  di
interessi legittimi...». 
    Ai fini del riparto di giurisdizione, la norma non  opera  alcuna
distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale. 
    Pertanto, anche a fronte di un'attivita' amministrativa priva  di
margini di valutazione  discrezionale,  quale  quella  descritta  nei
commi 3 e 4 dell'art. 4, si  staglia  una  situazione  soggettiva  di
interesse legittimo del privato, almeno tutte  le  volte  in  cui  la
finalita' primaria perseguita dalla norma sia quella di  tutelare  in
via  diretta  l'interesse  pubblico  (Consiglio  di  Stato,  Adunanza
plenaria, 24 maggio 2007, n. 8). 
    Con  l'introduzione  dell'obbligo  vaccinale  temporaneo  per  il
personale sanitario, il comma l dell'art. 4  intende  perseguire,  in
una grave situazione emergenziale epidemiologica su scala globale, il
fine primario «di tutelare la salute pubblica  e  mantenere  adeguate
condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di  cura  e
assistenza», di sicura la rilevanza per la salute pubblica e  per  la
sicurezza collettiva, per cui la  posizione  soggettiva  del  privato
deve essere qualificata come  interesse  legittimo,  con  conseguente
attribuzione  della  presente   controversia,   secondo   l'ordinario
criterio di riparto, alla giurisdizione del  giudice  amministrativo.
L'esercizio del potere amministrativo, a fronte del quale si  staglia
la  situazione  soggettiva  dell'interesse  legittimo,  e'   pertanto
sufficiente, ai sensi dell'art. 7,  commi  l  e  4,  del  codice  del
processo amministrativo, a  radicare  la  giurisdizione  del  giudice
amministrativo, anche ove vengano in rilievo la tutela  di  interessi
fondamentali, quali la tutela della  dignita'  dell'individuo,  della
salute individuale e del lavoro. 
    3.5.  Il  Collegio  ritiene  sussistere   anche   le   condizioni
dell'azione proposta nel giudizio a quo. 
    La  ricorrente,  nella  qualita'  di  destinataria  dell'atto  di
accertamento dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale e dell'effetto
legale, ad esso conseguente, della  sospensione  dal  servizio  senza
retribuzione,  compensi  od  emolumenti,  ha  proposto  un'azione  di
annullamento  dell'atto  di  sospensione  dall'attivita'  lavorativa,
nella parte in cui non prevede la corresponsione di  adeguate  misure
assistenziali. 
    Contrariamente a quanto sostenuto dall'ASST  F. -S.,  dal  tenore
complessivo dell'istanza cautelare notificata in data 28 marzo 2022 -
che il Collegio deve qualificare come atto per motivi aggiunti  -  si
evince chiaramente la domanda di giustizia sostanziale proposta dalla
ricorrente, indipendentemente  dall'utilizzo  delle  formule  con  le
quali si chiede l'annullamento in parte qua degli atti oggetto  delle
specifiche censure in essa contenute. 
    Tra questi atti e' ricompresa anche  la  deliberazione  dell'ASST
del .... n. ...., il cui contenuto e' stato  integralmente  riportato
nella missiva n. .... del ...., della quale la ricorrente ha invocato
la sospensione degli effetti, nella parte  in  cui  non  prevede  che
durante il periodo di sospensione non venga corrisposto  «un  assegno
alimentare». 
    I motivi aggiunti depositati in data 29 marzo 2022 e  la  domanda
cautelare con essi spiegata devono percio' ritenersi ammissibili. 
    4. Sempre in tema di rilevanza della  questione  di  legittimita'
costituzionale,  occorre  evidenziare  che   l'attuale   formulazione
dell'art. 4, comma 5, dovrebbe indurre  il  Collegio  a  rigettare  i
motivi aggiunti depositati in data 29 marzo 2022. 
    L'ASST F. -S., una volta ricevuta la comunicazione  dell'atto  di
accertamento  dell'inadempimento  dell'obbligo  vaccinale,   adottato
dall'Ordine professionale nei confronti della ricorrente, non avrebbe
comunque potuto disporre in suo favore l'attribuzione di  una  misura
di sostegno economico per il periodo di sospensione della  ricorrente
dall'attivita' lavorativa: l'art. 4, comma 5, non attribuisce infatti
alcuna discrezionalita' al datore di lavoro e dispone, quale  effetto
automatico ed immediato dell'atto di accertamento  dell'inadempimento
dell'obbligo   vaccinale,   la   sospensione   dal   servizio   senza
corresponsione di qualsivoglia trattamento  economico  per  tutta  la
durata della sospensione. 
    Ove   invece   la   Corte   costituzionale   dovesse   dichiarare
l'illegittimita' dell'art. 4, comma 5, nella parte in cui dispone che
«Per il periodo di sospensione non sono dovuti  la  retribuzione  ne'
altro  compenso  o  emolumento,  comunque  denominato»,  il  Collegio
dovrebbe accogliere i motivi aggiunti del 29 marzo 2022 ed  annullare
in parte qua l'atto con essi impugnato. 
    La ricorrente ha infatti dimostrato di  percepire  esclusivamente
il reddito  da  lavoro  dipendente,  di  avere  un  figlio  a  carico
(documento n. 5 dell'indice di parte ricorrente), di non percepire la
retribuzione dal  mese  di  ....  e  di  non  poterla  verosimilmente
percepire sino alla  data  di  scadenza  dell'efficacia  dell'obbligo
vaccinale, in quanto non intende adempiere ad esso. 
    La  ricorrente  non  ha  inoltre  allegato  di   aver   contratto
l'infezione da SARS-CoV-2 e di essere guarita dalla stessa,  per  cui
non puo' - allo stato - neppure esercitare la facolta' di  richiedere
la  cessazione  temporanea  della   sospensione   dallo   svolgimento
dell'attivita' professionale e dunque dalla sospensione dal  servizio
per il periodo di differimento della vaccinazione. 
    La mancata corresponsione  di  qualsivoglia  sostegno  economico,
comunque denominato, sino al ...., rischierebbe pertanto  di  privare
la ricorrente dei necessari mezzi di  sostentamento  per  un  periodo
temporale eccessivamente dilatato, verosimilmente destinato ad essere
ulteriormente prorogato, ove la pandemia non dovesse regredire. 
    4.1. Ai fini della verifica della rilevanza  della  questione  di
legittimita' costituzionale, deve infine ritenersi che, in seguito al
principio affermato dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  16
luglio 2014, n. 200, la contestuale pronuncia del giudice  remittente
sulla misura cautelare non e' idonea a configurare la non  attualita'
della questione, atteso che, ai sensi dell'art.  55,  comma  11,  del
codice del  processo  amministrativo,  la  concessione  della  misura
cautelare  determina  l'instaurazione  della  fase  del  merito   del
giudizio, senza necessita' di ulteriori adempimenti processuali. 
    4.2. La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
comma 5, del decreto-legge 1° aprile 2021, n.  44,  convertito  nella
legge 28 maggio 2021, n. 76, per come modificato dall'art.  1,  comma
1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172, convertito
nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, e  successive  modificazioni  deve
dunque ritenersi rilevante nella decisione del presente giudizio,  il
quale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  non
puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione   della
stessa. 
    5.  Il  Collegio  reputa  di  non   poter   percorrere   la   via
dell'interpretazione   conforme    della    norma    sospettata    di
illegittimita' costituzionale. 
    L'obbligo imposto al giudice remittente  di  vagliare,  prima  di
sollevare   la   questione   di   legittimita'   costituzionale,   la
percorribilita'  di  tutte  le  ipotesi  ermeneutiche   astrattamente
possibili per attribuire alla norma un significato non  incompatibile
con i principi costituzionali incontra infatti il limite invalicabile
apposto  all'attivita'  esegetica,  costituito   dalla   formulazione
letterale della disposizione. 
    Col prevedere che «Per il periodo di sospensione non sono  dovuti
la  retribuzione  ne'   altro   compenso   o   emolumento,   comunque
denominato», il legislatore ha  esplicitato  la  chiara  volonta'  di
privare il lavoratore dipendente non  solo  della  retribuzione,  per
assenza dell'attuazione concreta del sinallagma contrattuale,  ma  di
qualsiasi sostegno  economico,  sia  esso  di  natura  previdenziale,
assistenziale o solidaristica. 
    Il Collegio ritiene percio'  che  la  chiara  formulazione  della
disposizione gli precluda in assoluto  la  possibilita'  di  adottare
interpretazioni estensive della stessa, le quali si porrebbero  tutte
in contrasto con la sua formulazione letterale. 
    Il Collegio ritiene di non poter ricorrere neppure allo strumento
dell'applicazione  analogica  delle  norme   che   attribuiscono   al
dipendente pubblico del comparto sanitario, cautelativamente  sospeso
dal servizio, un assegno alimentare in attesa della  definizione  del
procedimento disciplinare o penale a suo carico (art. 82 del  decreto
del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 ed articoli  67
e 68 del contratto collettivo nazionale dei lavoratori  del  comparto
sanita'). 
    L'art. 4,  comma  4,  esclude  infatti  espressamente  la  natura
disciplinare    dell'atto    di    accertamento    dell'inadempimento
dell'obbligo vaccinale ed attribuisce agli  Ordini  professionali  il
potere di accertamento della violazione di un obbligo di  natura  non
deontologica,  volto  a  tutelare  in  via  precauzionale  la  salute
pubblica  e  la  sicurezza  dei  pazienti  nell'accesso   alle   cure
sanitarie. 
    La  natura  dichiarativa  e   non   disciplinare   dell'atto   di
accertamento  dell'inadempimento  dell'obbligo   vaccinale   preclude
dunque di assimilare la nuova fattispecie di  sospensione  temporanea
dal servizio per inadempimento dell'obbligo vaccinale ad una sanzione
disciplinare. 
    Non ricorre, a dire il  vero,  neppure  l'identita'  della  ratio
legis  delle  due  fattispecie:  la  ratio  della  fattispecie,   non
sanzionatoria,  della  sospensione  cautelare  del   dipendente   dal
servizio, in attesa  della  definizione  del  procedimento  penale  o
disciplinare a  suo  carico,  e'  infatti  quella  di  attribuire  la
corresponsione di un assegno di natura  alimentare  sino  al  momento
dell'accertamento della eventuale  responsabilita',  in  applicazione
della presunzione di non  colpevolezza  di  cui  all'art.  27,  comma
secondo, della Costituzione, esigenza che non e' dato ravvisare nella
fattispecie   di   sospensione   dal   servizio   per   inadempimento
dell'obbligo vaccinale. 
    6. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma
5, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito nella legge 28
maggio 2021, n. 76, per come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera
b), del decreto-legge 26 novembre  2021,  n.  172,  convertito  nella
legge 21 gennaio 2022, n. 3, nella parte in cui dispone che  «Per  il
periodo di sospensione non sono  dovuti  la  retribuzione  ne'  altro
compenso o emolumento, comunque denominato», non si presenta  neppure
come manifestamente infondata. 
    6.1. Il Collegio dubita della compatibilita'  della  disposizione
con il principio  di  ragionevolezza,  corollario  del  principio  di
eguaglianza sostanziale di  cui  all'art.  3,  comma  secondo,  della
Costituzione, e dunque della razionalita' della totale privazione  di
ogni forma di sostegno economico per il dipendente che,  non  potendo
documentare  un  serio  rischio  per  la  propria  salute,  tale   da
escludere,  definitivamente   o   temporaneamente,   la   sussistenza
dell'obbligo    vaccinale,    abbia     esercitato     il     diritto
all'autodeterminazione  nella   scelta   dei   trattamenti   sanitari
obbligatori, tra i quali rientrano pacificamente anche i  trattamenti
somministrati a scopo di prevenzione, come i vaccini. 
    6.2. Il  Collegio  dubita  altresi'  della  compatibilita'  della
disposizione  dell'art.   4,   comma   5,   con   il   principio   di
proporzionalita' di cui  all'art.  3  della  Costituzione,  sotto  il
profilo dell'adeguatezza della preclusione  automatica  e  totale  di
qualsivoglia sostegno economico al dipendente  sospeso  dal  servizio
rispetto al fine di interesse pubblico ad essa sotteso, che e' quello
di evitare il diffondersi del contagio da SARS-CoV-2  negli  ambienti
sanitari  e  di  garantire  la   massima   sicurezza   dei   pazienti
nell'accesso alle cure. 
    La nuova disciplina normativa introdotta dall'art.  1,  comma  1,
lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021,  n.  172,  convertito
nella legge  21  gennaio  2022,  n.  3,  ha  infatti  eliminato  quel
meccanismo di gradualita'  temperata  che  consentiva  al  datore  di
lavoro  di  ricollocare  il   dipendente   inadempiente   all'obbligo
vaccinale, nei limiti dell'organizzazione del  servizio,  a  mansioni
diverse,  anche  inferiori,  per  le  quali  gli   corrispondeva   la
retribuzione. 
    Sicche' il dipendente che, nell'esercizio della sua  liberta'  di
autodeterminazione, non intendeva sottoporsi a vaccinazione, prima di
essere  sospeso  dal  servizio  senza   retribuzione,   poteva   fare
affidamento   sull'eventuale   corresponsione   della    retribuzione
conseguente al demansionamento. 
    L'attuale  disciplina  normativa  pone   invece   il   dipendente
inadempiente all'obbligo vaccinale dinanzi ad  una  scelta  obbligata
tra  l'adempimento  dell'obbligo  vaccinale  e  la  sospensione   dal
servizio senza attribuzione di alcun trattamento economico. 
    Essa   si   rivela   pertanto   sproporzionata   rispetto    alla
realizzazione del fine  di  tutela  della  salute  pubblica  mediante
l'erogazione delle prestazioni sanitarie in condizioni di  sicurezza,
in quanto l'esito  del  bilanciamento  dei  rilevantissimi  interessi
coinvolti,  effettuato  dal  legislatore  nell'esercizio   dell'ampia
discrezionalita' politica, conduce ad un risultato implausibile. 
    Con  la  recente  introduzione  di  misure  di  sostegno  sociale
l'ordinamento mostra infatti di orientarsi sempre piu' verso forme di
protezione volte ad assicurare  le  prestazioni  imprescindibili  per
alleviare situazioni di estremo bisogno, in particolare, alimentare. 
    Per  ricondurre  a  razionalita'  il  sistema,  la  finalita'  di
garantire il  nucleo  irriducibile  di  questi  diritti  fondamentali
richiede  dunque  di  essere  assicurata   anche   nella   situazione
considerata dalla norma sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    Deve  infatti  ritenersi  eccedente  il  necessario   limite   di
ragionevolezza una regolamentazione che, seppure  introdotta  in  una
situazione emergenziale, trascuri il  valore  della  dignita'  umana,
specie ove si consideri che la  sospensione  da  qualunque  forma  di
ausilio economico del dipendente non trova causa nel  venir  meno  di
requisiti di ordine morale. 
    6.3 L'effetto automaticamente ed integralmente preclusivo di ogni
trattamento economico non pare inoltre giustificato  da  sopravvenute
esigenze di tutela dell'interesse antagonista e rischia  pertanto  di
creare un'irragionevole disparita' di trattamento con tutte le  altre
fattispecie di sospensione dal servizio di natura  preventiva,  quali
appunto quelle della sospensione cautelare del dipendente disposta in
corso di un procedimento disciplinare o penale, in cui, sia  pure  in
assenza del sinallagma contrattuale, viene invece percepita una quota
della retribuzione, a titolo assistenziale. 
    Ne' puo' ragionevolmente sostenersi che la mancata corresponsione
di una misura di sostegno  per  tutto  il  periodo  di  durata  della
sospensione dal servizio sia un sacrificio  tollerabile  rispetto  ai
fini pubblici da perseguire. 
    Il periodo di  sospensione  dal  servizio,  inizialmente  fissato
entro il termine massimo del  31  dicembre  2021,  e'  stato  infatti
prorogato dapprima (ad opera del decreto-legge 26 novembre  2021,  n.
172, convertito nella legge 21 gennaio 2022, n. 3) sino al 15  giugno
2022 e successivamente (ad opera del decreto-legge 24 marzo 2022,  n.
24) sino al 31 dicembre 2022. 
    Al   dipendente   che,   nell'esercizio   della    liberta'    di
autodeterminazione   nella   somministrazione   di   un   trattamento
sanitario, scelga di non adempiere all'obbligo vaccinale viene dunque
richiesto un sacrificio, la  cui  durata  non  e'  in  grado  ne'  di
prevedere ne'  di  governare,  atteso  che  le  misure  precauzionali
adottate dal legislatore non si prestano ad essere  inquadrate  entro
una cornice temporale  certa  e  definita,  a  causa  dello  sviluppo
oggettivamente incerto e ricorrente dell'andamento della pandemia. 
    La  non  prevedibilita'  della  durata  e  dell'evoluzione  della
situazione epidemiologica preclude  infatti  ai  dipendenti  che  non
intendano  sottoporsi  alla  somministrazione  del  vaccino  per   la
prevenzione del virus SARS-CoV-2  di  calcolare  con  un  sufficiente
grado di approssimazione l'entita'  del  sacrificio  richiesto  e  di
predisporre  le  adeguate  misure  per  ammortizzarne   gli   effetti
pregiudizievoli. 
    Il Collegio ritiene pertanto che la  temporaneita'  della  misura
interdittiva adottata dal legislatore non sia idonea  a  giustificare
il  sacrificio  totale  degli  interessi   antagonisti   e   che   la
soppressione di ogni forma di sostegno economico per  un  periodo  di
tempo  consistente  e   potenzialmente   indeterminato   rischia   di
determinare  effetti  pregiudizievoli   ed   irreversibili   per   la
soddisfazione delle essenziali esigenze di vita  del  dipendente  che
non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale. 
    La scelta legislativa di apporre una  preclusione  assoluta  alla
percezione di una forma minima di sostegno temporaneo  alla  mancanza
di reddito sembra infatti  essere  andata  di  gran  lunga  oltre  il
necessario per conseguire l'obiettivo  di  tutela  prefigurato  dalla
norma, il quale avrebbe potuto essere realizzato, con pari efficacia,
anche con il piu' mite strumento della temporanea ricollocazione  del
lavoratore a  mansioni  diverse,  anche  inferiori,  da  svolgere  in
condizioni di sicurezza e compatibilmente  con  l'organizzazione  del
servizio (gia' contemplato  dall'art.  4,  comma  8,  nella  versione
vigente sino al 26  novembre  2021),  o,  nell'ipotesi  in  cui  tale
soluzione fosse  incompatibile  con  l'organizzazione  del  servizio,
mediante  la  previsione  di  un  adeguato  sostegno  economico,  con
finalita' analoghe ai vigenti istituti di sussidio,  quali  l'assegno
sociale o il reddito di cittadinanza. 
    Con  cio'  il  Tribunale  non  intende  chiedere  alla  Corte  un
intervento  additivo,  ma  soltanto  evidenziare   come   la   scelta
legislativa confligga con il principio di necessarieta' che, tra piu'
mezzi   astrattamente   idonei   al   raggiungimento   dell'obiettivo
prefissato, impone di individuare quello che, a parita' di efficacia,
incida meno negativamente nella sfera del singolo. 
    Quando infatti il legislatore interviene,  coeteris  paribus,  in
senso  peggiorativo  di  una  disciplina  settoriale  ha  l'onere  di
predisporre le adeguate misure compensative per evitare il sacrificio
totale, ancorche' temporaneo, degli interessi fondamentali coinvolti,
il quale puo' essere comminato quale extrema ratio e dunque solo  ove
non sia possibile individuare soluzioni alternative di pari efficacia
e meno gravose. 
    6.4. L'art. 4, comma 5, sembra difettare anche di una  intrinseca
coerenza logica. 
    Il legislatore, nell'esercizio della  discrezionalita'  politica,
puo'  certamente  aggravare  gli  effetti   dell'accertamento   della
violazione di un obbligo, anche  sino  ad  arrivare  alla  privazione
totale del  trattamento  economico  da  corrispondere  al  dipendente
sospeso dal servizio, ma deve comunque  individuare  degli  specifici
presupposti  fattuali  o  giuridici,  idonei  a  giustificare   detto
aggravamento. 
    Tali presupposti non risultano individuati, atteso che,  rispetto
alla disciplina previgente, lo scopo primario che  la  norma  intende
perseguire, ossia quello  di  tutelare  la  salute  pubblica  in  una
situazione   emergenziale   epidemiologica   mediante   la   garanzia
dell'accesso alle cure ed alle prestazioni sanitarie in condizioni di
sicurezza, e' rimasto sostanzialmente invariato. 
    Cio'  di  cui  dubita  il  Collegio  e'  dunque   la   congruita'
dell'effetto legale della totale privazione della  corresponsione  di
ogni  trattamento  economico  al  lavoratore  sospeso  dal   servizio
rispetto alla natura dichiaratamente non sanzionatoria  dell'atto  di
accertamento dal quale deriva. 
    7. Il Collegio dubita della compatibilita' dell'art. 4, comma  5,
con i principi di ragionevolezza  e  di  proporzionalita',  anche  in
riferimento alla violazione dell'art. 2 della Costituzione. 
    Come gia' accennato, esiste nel nostro ordinamento  un  principio
generale, ricavabile dal patto di solidarieta' sociale che  e'  posto
alla base della civile convivenza, per cui  la  dignita'  di  ciascun
individuo deve essere preservata assicurandogli i mezzi necessari per
vivere (Corte costituzionale, 20 luglio  2021  n.  137,  in  tema  di
revoca delle prestazioni assistenziali in favore  di  condannati  per
gravi reati; 20 luglio 2020, n. 152,  in  tema  di  incremento  delle
pensioni di invalidita'; 21 giugno 2021, n. 126, in tema  di  reddito
di  cittadinanza),  il  quale  sembra  non  essere  stato  rispettato
dall'art. 4, comma 5,  del  decreto-legge  1°  aprile  2021,  n.  44,
convertito  nella  legge  28  maggio  2021,  n.   76   e   successive
modificazioni. 
    Tale principio basilare si  ricollega  direttamente  alla  tutela
della  dignita'  dell'individuo,  a  prescindere  dalla  causa  della
condizione di indigenza e dell'imputabilita' della stessa ad  un  suo
comportamento, lecito od illecito che sia. 
    In materia di diritti fondamentali non sono  infatti  tollerabili
automatismi di sorta, per cui la privazione automatica ed assoluta di
ogni forma di sostegno economico per l'intera durata del  periodo  di
sospensione dal servizio, senza possibilita'  di  prevedere  adeguate
misure di sostegno economico,  sembra  al  Collegio  irragionevole  e
sproporzionata anche in riferimento  al  principio  di  tutela  della
dignita' dell'individuo, di cui all'art. 2 della Costituzione. 
    Tale automatismo si rivela ancor piu' irragionevole nel caso  del
dipendente sospeso dal servizio che versi in condizioni di  indigenza
e che, come la ricorrente, e' impossibilitato a procurarsi altrimenti
il reddito necessario per attendere alle ordinarie esigenze di  vita,
per via della conservazione dello status  di  dipendente  pubblico  e
della conservazione del  posto  di  lavoro,  previste  quali  effetti
dell'atto di accertamento, ancorche' favorevoli per il lavoratore. 
    8. In conclusione, il Collegio  ritiene  rilevante  nel  presente
giudizio e non manifestamente infondata la questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma  5,  del  decreto-legge  1°  aprile
2021, n. 44, convertito nella legge 28 maggio 2021, n. 76,  per  come
sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera  b),  del  decreto-legge  26
novembre 2021, n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022, n.  3,
e successive modificazioni, nella  parte  in  cui  dispone  che  «Per
periodo di sospensione non sono  dovuti  la  retribuzione  ne'  altro
compenso o emolumento, comunque  denominato»,  per  contrasto  con  i
principi di ragionevolezza e di proporzionalita', di cui  all'art.  3
della Costituzione, anche in riferimento alla violazione dell'art.  2
della Costituzione. 
    9. Ai sensi dell'art. 23, comma 2, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, deve essere pertanto disposta l'immediata trasmissione degli atti
alla  Corte  costituzionale  per  la  decisione  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata con la presente ordinanza. 
    Deve  essere  altresi'  disposta  la  sospensione  del   presente
giudizio  sino  alla  definizione  del  giudizio  incidentale   sulla
questione  di  legittimita'  costituzionale.  Devono  essere   infine
ordinati gli adempimenti di notificazione e  di  comunicazione  della
presente ordinanza, nei modi e nei termini indicati nel dispositivo.